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Quaderni di Etnom. 11: Brasile tra mito e magia

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Quaderni di Etnomusicologia 11: 'Brasile tra mito e magia'(parte prima)

“O Paìs do Carnaval” – Rio de Janeiro

«Evoè, Carnaval!» - esclama il ricco piantatore di ritorno dall’Europa perso a contemplare il mistero delle acque fra l’azzurro intenso del cielo e il verde del mare, mentre la nave entrando in porto, nella opulenta Rio, ostenta i colori verde-giallo nazionali. Scriveva Jorge Amado negli anni 30’ in quello che va ricordato come il suo primo, insuperato romanzo biografico, pubblicato in Italia appena nel 1984 quando già il suo autore era all’apice del successo. In seguito ne scriverà altri, molti altri, tutti di grandissima presa sul pubblico e di successo, dovuto anche al fatto che da alcuni di essi sono stati tratti films di successo come “Dona Flor e i suoi due mariti”.

Un’apertura decisamente insolita per i ‘Quaderni..’ di cui riprendo qui la pubblicazione dopo la sosta estiva. Pur tuttavia necessaria per introdurre un tema, quello del ‘carnevale’ che mi sta particolarmente a cuore, in ragione di aver vissuto «o’ vivo» alcuni Carnevali importanti, come appunto quello di Rio, che qui descrivo; quello di Bahia; quello di Bali e di Ceylon (che si rifanno ad alcune festività locali); quello della ‘Diablada’ in Perù, e alcuni dei molti altri che si festeggiavano nel passato e ancora si festeggiano in Italia. Insolita non poi tanto perché lo scopo è comunque quello di volgere l’attenzione alla musica che solitamente in essi si consuma. Davvero un ‘mare’ sonoro, di ondate di suoni, di ritmi, di canti, di danze che da sempre accompagnano la straordinaria ‘follia’ del Carnevale.
E allora che c’è di meglio di iniziare proprio da qui, dal paese che ormai si distingue come ‘O Paìs do Carnaval’: Rio de Janeiro: “..una città incendiata per tre giorni e tre notti, come un vulcano incandescente che si riversa per le strade, dove migliaia di persone manifestano la loro gioia di vivere”. Dalle ‘favelas’, le tristemente famose bidonville che sorgono e prosperano come funghi al margine della metropoli; al trionfo del ‘samba’ che ha il potere di coagulare bianchi e neri, gente carioca e creola, conquistatori e conquistati, all’interno della festa ‘d’amore e di sangue’ che dimentica le miserie e gli affanni nell’orgia carnevalesca, in cui ‘vive’ il proprio istante d’eternità.

«È il paese con il più grande avvenire del mondo intero!» - aggiunge il giovane speranzoso. «Lei ha appena dato l’esatta definizione del Brasile, il Paese Verde per antonomasia, proiettato nel futuro. Entro cent’anni il Brasile sarà il primo paese del mondo. Oggi..».

È questa una terra dove, almeno per un breve periodo dell’anno, la parola ‘carnevale’ recupera il suo originario significato etimologico di esaltazione della carne e una sfrenata gioia di vivere in una sorta di ‘bolgia’ gigantesca dove infine si contano i decessi a centinaia. È questo il risvolto tragico della festa, come se tutto l’odio, il rancore, il parossismo, il delirio, la ribellione dei diseredati e degli oppressi, si condensino in un immane cruento sacrificio. Sono tre giorni e tre notti vissuti al culmine della gioia e dell’orrore in cui l’intera città, anzi l’intero paese si riversa per le strade di Rio, bruciato dal fuoco di una ‘follia’ selvaggia e imprevedibile. Si conta che quando si avvicinano i giorni del Carnevale, almeno un milione di persone provenienti da tutto il Brasile si riversano a Rio. In molti hanno lasciato il proprio posto di lavoro che forse non ritroveranno; altri non fanno più ritorno ai rispettivi paesi d’origine, fermandosi nella metropoli già affollatissima, unendosi al fitto campionario della popolazione emarginata, diseredata, affamata, in cerca di una propria identità.

«Peccato che non sia mai andato oltre.. – esclama l’onnipresente e danaroso possidente – Oggi (in Brasile) dominano le religioni feticiste. A nord, la religione è un miscuglio di feticismo, spiritismo e cattolicesimo. Ma se lei pensa che tale religione sia quella che predomina in Brasile, si sbaglia. Esiste di essa una deformazione africana: la Macumba (insieme di riti animisti afro-brasiliani, in onore degli orixà, spiriti delle acque e delle foreste, originari di Bahia), a nord tiene il posto della Chiesa che, a sud, è sostituita da gruppi spiritisti».

Ed è davvero così, la questione religiosa in Brasile si riduce a una questione di ‘paura’. Una paura ancestrale che giunge di lontano, allorché intere popolazioni ridotte in schiavitù, furono estirpate dalle loro terre d’Africa e trasferite nelle lontane americhe a bordo delle navi ‘negriere’, così si chiamavano, con i loro idoli e loro antiche tradizioni. “Macumba” e i riti di “Umbanda” in Brasile, il Voo-doo ad Haiti, le ‘Santerias” a Cuba ecc. non sono che il trasferimento di quei culti aviti provenienti dal cuore del continente africano, le cui pratiche devozionali ‘oscure’, così dette di ‘iniziazione’ e altro, erano a volte violente e mettevano a dura prova i giovani che vi venivano sottoposti. Oltre alla ‘paura’ diffusa che migliaia di individui si trovarono ad affrontare fin dall’inizio del viaggio sotto la sferza negriera, e dopo, quando furono costretti a lavorare sotto la minaccia delle armi da fuoco. Paura che si intravedeva ovunque ma che non si mostrava mai chiaramente e li perseguitava senza una ragione, perché indistinta, fluttuante, disancorata dall’oscuro, perché occulto, mondo dei loro idoli e delle loro ataviche certezze. Paura sempre e ovunque che essi racchiudevano nell’incertezza del buio, che aveva inizio fin dal calar del sole e che avvolgeva il ‘mondo’ nell’oscurità imperscrutabile, serra di tutte le paure, di fronte all’immediata minaccia per la loro vita.

Ma la ‘paura della morte' si può vincere - si dice - andandogli incontro con spavalderia, aspettando il momento opportuno con convinzione e coraggio, affrontandola sullo stesso piano del ‘soprannaturale’ che mette in campo, venendo a conoscenza di che cosa essa nasconde di terribile e inevitabile, nell’ostinata sensazione che ci condanna a trascorrere notti senza sonno, avvelenando i giorni della nostra vita che avremmo dovuto godere in salute e in piena libertà. Questo gli ‘schiavi’ lo sapevano da sempre, faceva parte della loro conoscenza atavica contrapporre un antidoto al veleno mortale, con l’attuare la ‘catarsi’, inventando riti di ‘purificazione’, di ‘rigenerazione’ e, non in ultimo, di ‘liberazione’ da tutti i lacci ‘orrifici’ e ‘demoniaci’ che li tenevano prigionieri, facendosi essi stessi démoni.

Scrive Zygmunt Bauman (*) “Gli uomini condividono tale esperienza con gli animali. Gli etologi hanno descritto con abbondanza di dettagli il ricco repertorio di reazioni degli animali di fronte a un’immediata minaccia per la loro vita: reazioni che – come per gli uomini – oscillano tra fuga e aggressione”. Ed ecco che gli ‘uomini’ creano i loro riti miticizzando quelli che sono i comportamenti animali e farli propri, indossando le loro pelli e piume, onorando le loro capacità ferali, impossessarsi delle loro potenzialità aggressive di difesa e di attacco, cannibalizzando, in un certo senso, il ‘potere’ intrinseco alla loro natura. C’è dell’orrore in tutto questo ma c’è anche il riconoscimento di sì tanta bellezza assoggettata all’esistente, che immagina strade alternative alla stessa vita.

Provate anche voi a immaginare la notte squarciata dall’esplodere di un vulcano, con le migliaia di scintille incandescenti che illuminano la scena, lo snodarsi di un fiume umano brulicante di lava e avrete appena una minima ‘idea’ di ciò che il Carnevale brasiliano rappresenta: “un ponte ininterrotto tra passato e presente”, tra culture diverse e diversificanti, colori smaglianti e luci sfavillanti, costumi che assomigliano ad uccelli fantastici, una fantasia di maschere voluttuose e orribili, di corpi ‘nudi’ che danzano rapiti dalla frenesia del ritmo e della sessualità più sfrenata. Uno spettacolo per gli occhi colmi di voluttuose immagini che stimolano all’irragionevolezza, che pretendono di abbandonarsi agli istinti corporei e si appellano alla pur mutevole assennatezza umana, di lasciarsi coinvolgere nell’indistinto e indistinguibile volere della carne.

 

Tutto questo amalgamarsi di ‘immagini’ che – credetemi – non ho qui voluto caricare di maggiore enfasi, neanche un poco, ha un suo comune denominatore, la musica accattivante e inebriante del ‘samba’, la più popolare danza del Brasile, capace del massimo coinvolgimento. Come scriveva Vinicius de Moraes (vedi articolo su questo stesso sito): “Il samba se è bianco di pelle in poesia / è nero nell’anima e nel cuore”; riconoscendo ad esso la capacità di convogliare suoni e ritmi ‘tipicamente’ brasiliani. È l’apoteosi del ‘samba’ e delle ‘favelas’ che, (anche grazie all’aiuto economico di misteriosi finanziatori), molto tempo prima del Carnevale danno inizio ai preparativi. Ogni favela infatti ha la sua Accademia o Scuola di Danza che non si limita soltanto ai numeri di ballo, ma prepara il proprio ‘spettacolo’ danzante, solitamente a tema, crea i costumi adatti, solitamente fantasmagorici, realizzati dalle donne ‘meniniñas’ della favela d’appartenenza.

Per settimane intere i danzatori/trici si esercitano nel ‘samba’ sulla musica prescelta che solitamente contiene una canzone, o più d’una, che farà poi il giro dell’intero continente, passando di bocca in bocca, fino a scavalcare l’Oceano e invadere l’Europa e gli States, grandi estimatori della musica brasiliana. Arredatori e costumisti coadiuvati da una folta ed entusiastica mano d’opera realizzano idee bizzarre e stravaganti che le ragazze ‘creole’ e ‘carioca’, mostreranno sui loro corpi voluttuosi come una seconda pelle immaginifica. Vengono costruiti i carri allegorici dedicati a fatti e personaggi della vita pubblica brasiliana e internazionale che sfileranno poi lungo la grande via della città addobbata per l’occasione.

 

Non mancano le allegorie religiose dalle forti tinte paganeggianti. La la migliore che si ricordi è quella della Escola Mocidade Independiente di Padre Miguel, intitolata “A festa ‘do divino”, un corteo profano-carnevalesco di eccezionale forza evocativa.La scelta dei colori dei carri, detta la ‘tonalità’ a tutto il blocco sfilante di questa o quella ‘Escola do Samba’ conseguendo un effetto d’insieme di perfetto contrasto tra i gruppi. È così che il rosa si sposa col verde, il bianco da maggiore risalto alla pelle ‘nera’ dei danzatori/trici. Piume e paillettes, broccati e gioielli sottolineano la prepotente bellezza delle ‘creole’. Musicisti, cantanti, bande musicali, i nomi più cari e noti al pubblico brasiliano, fanno a gara per presentare il motivo o la canzone che durante i tre giorni verrà poi dichiarata ‘a furor di popolo’, la canzone ‘Regina del Carnevale’, se ne ricordano un numero infinito quali, ad esempio: “O nosso amor” (Tom Jobim), “A banda” (Cico Buarque de Hollanda), “Nao tegno lagrimas” (Milton de Oliveira), e le epiche “Macunaima” (Marco Moran), “Barracao” (Elizeth Cardoso e Jacob do Bandolin), “Brigitte Bardot” (…), “Manha de Carnaval” (Edu Lobo), e tantissime altre.

Sono questi solo alcuni titoli presi ad esempio, rappresentati di quanto accade durante i tre lunghissimi giorni del Carnevale di Rio, allorché ogni favela scende in città per presentare il suo ‘samba-enredo’ sorta di insieme figurato e vivente. Molte sono le ‘Academie’ ed Escola do Samba’ di larga fama presenti nello stato di Guanabara, che da il nome di ‘carioca’ agli abitanti di Rio de Janeiro e al carnevale stesso, detto infatti ‘Carnevale Carioca’. Tra le più qualificate figurano senz’altro Mangueira, Sangueiro, Portela, Imperio Enredos, Em cima da hora, Mocidade Indipendiente, Villa Isabel, Beja Flor, Imperiatrix e molte altre. Anche se all’attuale alcune di esse possono essere cambiate di nome o scomparse, il loro numero effettivo supera di gran lunga la cifra ufficiale che ne enumera trenta.

“Sono un figlio delle favelas, in esse mi sono formato ed ho conosciuto la realtà della vita, fra la gente. Tra quella gente che fa i preparativi per il Carnevale. Li ho tutti nella mente: trenta carnevali. A Carnevale, nel mio paese, non è soltanto un fatto folkloristico, è prima di tutto un episodio umano e sociale, è una festa d’amore e di sangue” – ha dichiarato Ney Matogrosso, affermato cantante brasiliano, durante l’intervista rilasciatami alcuni anni or sono.

Dopo la grande sfilata delle Scuole, segue una lunga, interminabile, maratona cui il popolo ‘tutto’ partecipa alla baldoria collettiva. Non c’è brasiliano che non vi prenda parte con uguale impegno, occupando la città per tutto il tempo della durata del Carnevale: chiudono le Banche, il Parlamento, i Giornali, restano quasi deserte finanche le Caserme militari (per le numerose licenze), sì che ‘è impensabile in quei giorni perfino organizzare un colpo di stato’. Ovviamente dal 1985, data di questo lungo articolo (qui ripreso in gran parte) apparso in ‘Super Sound’ (rivista musicale di successo), qualcosa è certamente cambiato. Quello che non è cambiato è invece il ‘Samba’.


“Non c’è samba senza carnevale, non c’è carnevale senza samba”, questa frase fatta è la chiave per meglio comprendere che cos’è il ‘Samba’ nella sua etimologia e di che cosa si compone. Sinonimo di ‘danza’ è parola considerata alquanto magica e misteriosa nella sua essenza musicale. Incrocio fra modi ritmici africani e moduli della cultura melodica portoghese, le popolari ‘rodas’ che hanno portato ad uno speciale equilibrio tra ‘samba’ e ‘saudade’, come di ‘due facce di uno stesso volto’ che si affrontano in una ‘rinata’ quanto originale espressione musicale ricca di contrasti: ‘negra’ nei ritmi, ‘creola’ per la sua formale noncuranza del ‘saudade’. Altra parola intraducibile che si avvicina al comune senso di ‘nostalgia’ e ‘rimpianto’.

Il Samba propriamente detto da il nome alla danza brasiliana per eccellenza, che viene posta fra il ‘turundu’ autoctono, dalle forti tonalità drammatiche, e il ‘fandango’, una rielaborazione del ‘tango’ argentino. Molto diffusa è anche un’altra danza detta ‘tempo di marcia’ dal tono gioioso, utilizzata soprattutto durante le sfilate del Carnevale, che prende nomi diversi secondo l’uso che se ne fa: ‘Caporeira’, ‘Marchina’, ‘Xaxado’ e ‘Baiao’. ‘Maxixe’ è invece una danza propriamente folkloristica dal colore paesano, tipica delle provincie di Rio e Sao Paulo; mentre il ‘Rasguado’ dal ‘tempo’ più disteso presenta notazioni tipiche dell’Argentina. Il ‘saudade’ brasiliano è ben rappresentato dal ‘Frevo’, ‘Choro’ e ‘Maracatù’.‘Samba’ vuol dire anche poesia, racconto, lamento, tristezza, sentimento espresso in versi in quasi tutte le canzoni, vecchie e nuove, nella loro pur semplice compiutezza. In brasiliano dire: ‘Piangere di gioia’ è come dire ‘samba’. L’incontro di due note musicali in ‘Samba de duas notas’ (Luiz Bonfa) è ‘samba’, come lo è ‘Samba de bençao’ (Moraes – Powell), utilizzato come sinonimo di allegria di colori, speranza e felicità. “Samba è vita! Fare un samba non è una barzelletta. Il samba è preghiera se lo vuoi. Samba è tristezza fatta danza, la tristezza che ha sempre la speranza di non essere triste prima o poi” – ha scritto Vinicius de Moraes in una sua canzone di successo.

Accanto ai ritmi e alle danze, uguale importanza assumono quelli che sono gli strumenti tipici della musica brasiliana che, nelle nuove formazioni, convivono con quelli più evoluti della moderna tecnologia. Infatti, a fianco del sassofono-contralto o baritono e delle chitarre elettriche, dei vibrafoni e dei sintetizzatori, troviamo la ‘sanfona’ una piccola fisarmonica diatonica; il tradizionale ‘flauto’ nelle versioni amerindo piccolo e basso; il ‘berimbao’ d’importazione africana composto da un arco di legno sottile lungo il quale corre una sola corda metallica, fissata a una zucca che fa da cassa di risonanza armonica. Accanto a questi prosperano una folta famiglia di chitarre: il ‘cavaquinho’ o chitarra piccola a quattro corde; la ‘violao’ ovvero la chitarra classica; la ‘viola’ paesana a dieci corde; la ‘chitarra portoghese’ denominata ‘a-laù-dé, molto simile al liuto. Quasi senza numero, gli strumenti a percussione vanno dai semplici ‘legni’ a ogni sorta di ‘atabaques’, taburi e taburelli d’ogni forma e dimensione dai nomi fantasiosi: ‘surdo’, ‘caixa’, ‘cuica’, ‘tamborin’, ‘pandeiro’. Altri ancora, di fattura artigianale povera, sono l’ ‘afuché’ corrispondente alla noce del cocco avvolta da una collana di conchiglie; il ‘choralho’ tubo metallico chiuso alle estremità contenente semi e piccole pietruzze; il ‘reco-reco’ segmento di bambù tagliuzzato che si gratta con la bacchetta; l’ ‘agogò’ insieme di campanelle fissate su di un manico; l’ ‘apito’ fischietto che il capo della Escola usa per comandare i danzatori, e altri ancora.

In passato, a ognuno di questi strumenti, era attribuito un valore magico, talvolta religioso, connesso con l’uso dell’accompagnamento vocale che diventava ‘corale’ nei canti pastorali, marinari, sacri e sentimentali. Successivamente, con il riproporsi del ‘tropicalismo’ e della ‘musica nova’ si è raggiunto il drammatico e l’intellettualismo in musica, per lo più espresso nel 1935 con due film “Alò alò Brasil” e “Alò, alò Carnaval” di Ademar Gonzaga interpretati da Carmen Miranda protagonista e cantante di successo che la fecero conoscere in tutto il mondo e con lei il favoloso ritmo del ‘samba’. Successivamente, nel 1950, sarà “O’ Cangaceiro” di Lima Barreto, con le musiche originali tipicamente brasiliane di Gabriel Migliori, e “Macunaima” di Joachim Pedro De Andrade, che il folklore brasiliano uscirà definitivamente dai limiti nazionalistici; seguiti da “Orfeo Negro” del 1959, diretto da Marcel Camus su un progetto di Vinicius de Moraes con le musiche di Bonfa e le stupende canzoni di Joim, Bonfa e lo stesso De Moraes.

Non vanno dimenticati però due straordinari ‘cartoon’ diretti allora da Walt Disney: “Saludos Amigos” (1942) del quale faceva parte lo strepitoso “Aquerela do Brasil” di Ary Barroso e Miguel de Olivera; e “Los tres Caballeros” (1944) con il divertente “Os quindinis de yaya”, che contribuirono in modo stravolgente al successo e consacrarono la musica brasiliana a livello internazionale. Da ultimi vanno qui segnalati due film: “Dona Flor e i suoi due mariti” (1976) diretto da Cidiclea Miranda appunto tratto dal romanzo di Jorge Amado e le musiche di Cico Buarque de Hollanda e la hit internazionale “O que serà”. E “Central do Brasil” un film brasiliano del 1998 diretto da Walter Salles, nominato all'Oscar al miglior film straniero.

Scrive ancora Jorge Amado:
«Più in là un senatore, un fazendeiro, un vescovo, un diplomatico la moglie del senatore chiacchierano nella buona pace borghese di chi possiede il regno della terra e la certezza di potersi comprare quello del cielo.»
«Sì - dice il fazendeiro – per il raccolto non c’è male. Ma i prezzi...»
«Via, colonnello, la vuol dare a bere a me? … Anche al prezzo attuale, il caffè continua a dare guadagni da capogiro … È la ricchezza di Sao Paulo, e del Brasile.»
«Anche perché il Brasile è São Paulo”» intervenne la moglie del senatore, bairista in modo irritante.
Era il diplomatico a parlare. Primo Segretario dell’Ambasciata a Parigi, non aveva ancora reso alla Patria il suo primo servigio di rilievo. Era nativo di Bahia, e nel sangue e nei capelli crespi portava traccia delle libertà che i suoi antenati portoghesi si erano presi con le sue bisavole africane.
«..ma ne esistono altri, di grandi Stati. Guardi Bahia per esempio. Vede, Eccellenza, Bahia produce di tutto … dal cacao al tabacco, ai fagioli. E uomini, signora mia, uomini di genio … Rui Barbosa era baiano …»
«Non dica di no, signora. Ancor oggi esistono a Bahia persone di grande talento.»

“Has estado en Baia?”

E noi, prossimamente, ci condurremo a Bahia per scoprire quello che il Carnevale brasiliano ancora ci riserva in ambito musicale dopo i movimenti evolutivi che dall’afro-samba e della ‘bossa nova’, fino al jazz-samba che ben si attagliano al moderno Brasile.

Nota: I brani narrativi "virgolettati" sono tratti da Jorge Amado “Il paese del Carnevale” – Garzanti 1984.

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